mercoledì 3 novembre 2010

No title

L'anima sì ma lo spazzolino giammai.

sabato 24 luglio 2010

No title

Sognavo invece stanotte di trovarmi in una ambiente chiuso, semi-arredato (una stanza di un appartamento, un ufficio, un negozio), di guardare al soffitto e notare una grande macchia circolare di inchiostro - più densa al centro - che colava a goccioloni sul pavimento. Si trattava di un'infiltrazione cosmica, perchè uscendo fuori e guardando al cielo mi accorgevo (io e qualcun altro, non ricordo chi) che esso era diventato tutto blu inchiostro. La porzione di cielo disponibile alla mia vista, tipo iper-testo, mi offriva inoltre un riquadro di aggiornamento del planisfero dal quale si evinceva che la macchia blu aveva - fino a quel momento - invaso solo mezzo emisfero (quello in cui mi trovavo io), mentre l'altro era ancora bianco.

giovedì 15 luglio 2010

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E quindi stanotte sognavo di essere ad un concerto di Giorgio Gaber, pensando che negli ultimi anni avevo commesso un errore considerevole reputandolo morto; e subito dopo camminavo ed incontravo Dalla e Curreri che camminavano abbracciati e guasconi, e si fermavano - gentili - a conoscermi.

domenica 2 maggio 2010

Per te


Bionda e diva,
diva e ingenua,
ingenua e sfacciata.
Taglio indimenticabile di un profilo,
denti piccoli e bianchi,
labbra rosa.

Foulard al collo, bracciale che tintinna:
sei splendida per la sera,
pronta a sfidarla come in una gara.
Innocente vanità
vestita di bianco,
di rosa,
di rosso.
Esplosiva, esagerata,
essenzialmente tu.

“Hai i piedi di un’atleta, Raffaella”,
ti dissi una mattina.
Si chiacchierava seduti sui letti,
tutti in una stanza a condividere il risveglio,
pigri, lenti, lievi, tra briciole e coperte.
Si dicevano cazzate, si giocava;
si decretavano le invenzioni più utili della storia.
Si parlava della notte prima,
di un’ora e più a ridere al buio senza riuscire ad addormentarci.
Del vostro letto che all’improvviso si piegava come un portafoglio,
con voi due dentro.

Raffaella schiena dritta,
Raffaella gambe da svenire nei jeans attillati,
Raffaella ombretto coi brillantini e coda di cavallo quando c’è da stare in pista,
Raffaella sempre allegra, anche se triste,
Raffaella goffa e sexy,
Raffaella “offro io”,
Raffaella “e ja, Mariàààààààààà”,
Raffaella sportiva e “sporting”, direttamente da una copertina di Vogue.

Raffaella “immagina di dare uno schiaffo all’aria” per insegnarmi a girare sui pattini, un pomeriggio d’inverno a casa tua.

Sei questo nella mia memoria.

Questo e un dolore,
questo e la purezza spietata di una delusione,
delusione di caduta dopo una piroetta in aria.
Il sogno di un’ esibizione perfetta
spezzato in un attimo,
sul più bello,
quando devi raccogliere gli applausi e andare avanti.

Vita breve, di farfalla.

Ma non te lo voglio rimandare questo dolore,
anzi, fa’ finta che non ti abbia detto niente.
Tra un po’ mi passa, te lo prometto,
sto già meglio.
Non piango,
sorrido ripensandoti,
e non mi arrabbio con la vita.
Non preoccuparti,
le andrò ancora incontro a schiena dritta e testa alta,
come ci hai insegnato tu.
Sui tuoi passi,
sulle onde morbide disegnate dai tuoi pattini.


domenica 11 aprile 2010

Tema: mio nonno

Svolgimento


Io accompagno mio nonno a casa, da scuola.
Lui mi aspetta con un sorriso chiuso, un po’ storto, che però non mi fa mai paura, come invece tanti altri sorrisi con i denti che si vedono. Mi guarda già da quando scendo le scale, anzi mi segue, anche se sta fermo. Ha gli occhi azzurro-grigio come i miei, ma sembra sempre che dentro c’è una lacrima che non scende mai.
L’altro giorno uscii da scuola con le mani tutte verdi e dei baffi da gatto disegnati a pennarello in faccia, tre linee dritte dritte agli angoli della bocca, fatte a volo da Pierlu, di nascosto dalle maestre, quando già eravamo in fila nel corridoio. Hanno detto che si chiamano vibrisse, o forse vibrissi, o vibrissie, non ricordo, comunque quelle. Rise e prese il suo fazzoletto a quadrati da una tasca, lo bagnò di saliva e cercò di cancellarmele. Non si tolsero, ma si sfumarono come la tempera dei pastelli, quando la passi col dito sul foglio. Così mi si fecero verdi anche le guance.
Io gli prendo la mano, gonfia e secca che quasi graffia, e gli racconto quello che faccio in classe, perché si diverte. Ma mentre parlo sto attento che per attreversare siamo sulle strisce pedonali, e che il semaforo per noi è verde. Spesso vuole prendermi lo zainetto, ma io gli dico di no, perché cammina già un po’ storto e magari con la mia cartella si in-curverebbe ancora di più. Non ho tanti libri, ma non si sa mai, e poi le bretelle sono troppo corte per lui. Come te la metti nonno gli vorrei dire!
Aspetto che parla un po’ col portiere, nel nostro palazzo, ma poi con la scusa che devo fare pipì gli chiedo di salire a casa, altrimenti mamma e nonna si arrabbiano perché la pasta si fredda. A pranzo lo faccio sedere accanto a me perché gli piace tagliarmi la carne nel piatto. Io lo so fare già, ho imparato un anno fa, ma lui lo vuole fare per forza. Un po’ sono contento, ma un po’ no, perché non mi taglia mai il grasso dei bordi. Non è abituato, lui mangia anche quello. Non taglio se ha già tagliato lui, perche se no si offende. Allora io mastico il pezzetto e ingoio tutto, tranne quel filo schifoso di gomma. Con le mani me lo tiro fuori dalla bocca, come un verme, e lo metto nel bordo del piatto. Lui alla fine, quando ce ne sono cinque o sei, li guarda e poi guarda me, con lo stesso sorriso storto che ha fuori scuola.
A fine pranzo mi passa dei pezzetti di mela, dalla sua. A me la mela fa schifo come il grasso, mi brucia nelle gengive, ma la mangio lo stesso perché a volte per lui è troppo dura, quasi croccante come il pane, e penso che gli può far male ai denti, perché i suoi ormai si muovono.
Io sono veloce a fare i compiti. A volte me li anticipo anche in classe, con le maestre che non se ne accorgono. Tengo sotto al banco il libro di matematica o di grammatica e mi faccio già gli esercizi per casa. Con la storia e la geografia sono una scheggia, basta che la leggo una volta e già te la so dire. Sono un po’ disordinato coi quaderni, però faccio pochi errori.
Il nonno a volte vuole aiutarmi, ed io gli dico di sì, ma dentro di me mi stringe tutto dal nervoso perché è lento, e per sfogliare le pagine del diario ci mette tre ore. Dice che vuole vedere, ma io i compiti li ricordo a memoria, li scrivo sul diario solo perché le maestre si arrabbiano se non lo faccio. E quando poi prende il libro, per esempio per spiegarmi la storia, ci si attaccano sempre le pagine tra le dita, non so perché! Se ne trova sempre due attaccate e le separa come una figurina da incollare, partendo dallo spigolo.
Io ho escogitato un piano. Mentre lui fa queste cose io ripeto a memoria, ma c’è un problema: quando mi chiede una cosa, non rispondo subito, perché sono impegnato a farmi il mio discorso mentale, e lui dice che sono distratto. Insomma mio nonno va dicendo in giro che mi distraggo quando devo studiare.
Ora è un po’ che di pomeriggio non gioca più con me, perché è primavera e io scendo giù con la bici o lo skate (il computer mi annoia). Meglio così, perché con lui in casa giocavo ai soldatini con la moviola o al subbuteo degli zoppi a e non mi andava tanto. A proposito, vorrei un fratello nuovo.
E allora mi chiama dal balcone, mi fa Vincenzo sali e mi dà l’aranciata da bere.
Anche l’aranciata mi fa schifo, come la mela e come il grasso, ma lui me la passa e ci mette un bel po’ di zucchero, e allora la bevo volentieri, anzi, vabbè, abbastanza volentieri. Gli faccio vedere l'ollie con lo skate, gli dico qualche giorno te l' insegno e scendo giù di nuovo.
Alzo la testa e lo trovo che mi guarda col sorriso chiuso e gli occhi con le lacrime che non scendono.

domenica 28 febbraio 2010

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E chest è nu poc 'e tristezz... famm vrè... eh... tien nu poc 'e tristezz. Miett't in d'o liett, mo t rong quaccos. Nu piglià fridd.

domenica 31 gennaio 2010

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Un pò di luce.