domenica 11 aprile 2010

Tema: mio nonno

Svolgimento


Io accompagno mio nonno a casa, da scuola.
Lui mi aspetta con un sorriso chiuso, un po’ storto, che però non mi fa mai paura, come invece tanti altri sorrisi con i denti che si vedono. Mi guarda già da quando scendo le scale, anzi mi segue, anche se sta fermo. Ha gli occhi azzurro-grigio come i miei, ma sembra sempre che dentro c’è una lacrima che non scende mai.
L’altro giorno uscii da scuola con le mani tutte verdi e dei baffi da gatto disegnati a pennarello in faccia, tre linee dritte dritte agli angoli della bocca, fatte a volo da Pierlu, di nascosto dalle maestre, quando già eravamo in fila nel corridoio. Hanno detto che si chiamano vibrisse, o forse vibrissi, o vibrissie, non ricordo, comunque quelle. Rise e prese il suo fazzoletto a quadrati da una tasca, lo bagnò di saliva e cercò di cancellarmele. Non si tolsero, ma si sfumarono come la tempera dei pastelli, quando la passi col dito sul foglio. Così mi si fecero verdi anche le guance.
Io gli prendo la mano, gonfia e secca che quasi graffia, e gli racconto quello che faccio in classe, perché si diverte. Ma mentre parlo sto attento che per attreversare siamo sulle strisce pedonali, e che il semaforo per noi è verde. Spesso vuole prendermi lo zainetto, ma io gli dico di no, perché cammina già un po’ storto e magari con la mia cartella si in-curverebbe ancora di più. Non ho tanti libri, ma non si sa mai, e poi le bretelle sono troppo corte per lui. Come te la metti nonno gli vorrei dire!
Aspetto che parla un po’ col portiere, nel nostro palazzo, ma poi con la scusa che devo fare pipì gli chiedo di salire a casa, altrimenti mamma e nonna si arrabbiano perché la pasta si fredda. A pranzo lo faccio sedere accanto a me perché gli piace tagliarmi la carne nel piatto. Io lo so fare già, ho imparato un anno fa, ma lui lo vuole fare per forza. Un po’ sono contento, ma un po’ no, perché non mi taglia mai il grasso dei bordi. Non è abituato, lui mangia anche quello. Non taglio se ha già tagliato lui, perche se no si offende. Allora io mastico il pezzetto e ingoio tutto, tranne quel filo schifoso di gomma. Con le mani me lo tiro fuori dalla bocca, come un verme, e lo metto nel bordo del piatto. Lui alla fine, quando ce ne sono cinque o sei, li guarda e poi guarda me, con lo stesso sorriso storto che ha fuori scuola.
A fine pranzo mi passa dei pezzetti di mela, dalla sua. A me la mela fa schifo come il grasso, mi brucia nelle gengive, ma la mangio lo stesso perché a volte per lui è troppo dura, quasi croccante come il pane, e penso che gli può far male ai denti, perché i suoi ormai si muovono.
Io sono veloce a fare i compiti. A volte me li anticipo anche in classe, con le maestre che non se ne accorgono. Tengo sotto al banco il libro di matematica o di grammatica e mi faccio già gli esercizi per casa. Con la storia e la geografia sono una scheggia, basta che la leggo una volta e già te la so dire. Sono un po’ disordinato coi quaderni, però faccio pochi errori.
Il nonno a volte vuole aiutarmi, ed io gli dico di sì, ma dentro di me mi stringe tutto dal nervoso perché è lento, e per sfogliare le pagine del diario ci mette tre ore. Dice che vuole vedere, ma io i compiti li ricordo a memoria, li scrivo sul diario solo perché le maestre si arrabbiano se non lo faccio. E quando poi prende il libro, per esempio per spiegarmi la storia, ci si attaccano sempre le pagine tra le dita, non so perché! Se ne trova sempre due attaccate e le separa come una figurina da incollare, partendo dallo spigolo.
Io ho escogitato un piano. Mentre lui fa queste cose io ripeto a memoria, ma c’è un problema: quando mi chiede una cosa, non rispondo subito, perché sono impegnato a farmi il mio discorso mentale, e lui dice che sono distratto. Insomma mio nonno va dicendo in giro che mi distraggo quando devo studiare.
Ora è un po’ che di pomeriggio non gioca più con me, perché è primavera e io scendo giù con la bici o lo skate (il computer mi annoia). Meglio così, perché con lui in casa giocavo ai soldatini con la moviola o al subbuteo degli zoppi a e non mi andava tanto. A proposito, vorrei un fratello nuovo.
E allora mi chiama dal balcone, mi fa Vincenzo sali e mi dà l’aranciata da bere.
Anche l’aranciata mi fa schifo, come la mela e come il grasso, ma lui me la passa e ci mette un bel po’ di zucchero, e allora la bevo volentieri, anzi, vabbè, abbastanza volentieri. Gli faccio vedere l'ollie con lo skate, gli dico qualche giorno te l' insegno e scendo giù di nuovo.
Alzo la testa e lo trovo che mi guarda col sorriso chiuso e gli occhi con le lacrime che non scendono.